La sera si infittisce sulla grande città, mentre i muri degli edifici riflettono l’attesa di vedere le stelle. La ragazza esce dalla metropolitana, cammina a passo svelto, schivando la fretta dei passanti, respingendo gli sguardi vuoti di chi rientra dopo una giornata di estenuante quotidianità. Pensa che deve essere invisibile, strisciare lungo i corridoi sporchi della metropolitana con la disinvoltura di un’ombra, l’accortezza di un soffio di vento. Si stringe nella felpa scura troppo grande per il suo corpo gracile, sicura di passare inosservata se immersa in quel tessuto a maglie fitte. Si stringe al petto la custodia della chitarra tentando di nasconderla come nasconde sé stessa. Nelle orecchi della ragazza rimbomba ancora il suono delle casse della piccola sala prove insonorizzata. Ripassa le facce dei compagni della band, i suoi migliori amici. Ma è ora di tornare a casa, pensa, e accelera il passo verso la fermata degli autobus. Anche la città macchiata dei respiri del mondo sembra respirare. La ragazza prende l’aria nei polmoni, la trattiene per un po’, poi la manda giù pensando che odia quel sapore, come odia respirare e avere una consistenza, essere fatta di materia. Vorrebbe diventare invisibile, aria pulita, volare via. Ha deciso che stanotte proverà a spiegare le ali nel vuoto, finalmente, dopo notti passate a trattenersi, a scrutare la città dalla terrazza condominiale. La fermata è deserta, tranne che per un gruppo di ragazzi che rifiniscono la loro ultima opera d’arte, uno scintillante graffito impresso sul cemento. C’è un solo autobus che sonnecchia placidamente, sembra aspettarla. La ragazza sale a bordo. Oltre a lei, un’anziana signora seduta al primissimo posto, appisolata con la testa ciondoloni e la borsa stretta al ventre. Fintanto che l’autobus non parte, la ragazza osserva attraverso il finestrino il gruppo di writers scuotere le bombolette e tracciare frettolosamente le ultime linee, impazienti di ammirare il risultato finale. Immagina il loro cuore in gola per la paura di essere scoperti e tornare dai genitori scortati dalla polizia. Cresceranno, pensa, e se ripasseranno per guardare quei graffiti, si ricorderanno di com’era, di come erano loro. L’autobus finalmente parte e la ragazza non distoglie lo sguardo dall’esterno e intanto riflette. Roma è una “bella di notte”. Come il fiore, la sua straordinaria bellezza sboccia non appena il sole lascia il posto alla luna. Sulle rovine della città immortale sorge l’impero degli uomini nuovi, luccicano le insegne dei locali, tintinnano i bicchieri e le posate nei ristoranti pieni. La ragazza osserva la breve corsa di un uomo elegante con una cartella di pelle nera in mano. Lo vede entrare proprio in uno di quei ristoranti e immagina che abbia una cena di lavoro, che sia una persona con l’agenda piena di impegni, uno di quelli che in aereo pensano a ottimizzare il tempo piuttosto che a fantasticare guardando le nuvole oltre l’oblò. Per il neonato che fuori dal locale dorme tra le braccia della mamma, il mondo e il cielo sono invece ancora pieni di stupore e meraviglia. Più avanti, un gruppo di ragazzi con gli zaini in spalla canta al cielo melodie stonate. Due di loro restano indietro apposta, si baciano furtivi, lentamente, con labbra ridenti. Uno ha il corpo di una statua; l’altro, più mingherlino, sembra quasi sparire nell’abbraccio del suo amante. Forse, a casa, i loro genitori li stanno aspettando o forse no, magari approvano il loro amore o magari non sanno. Intanto, i loro figli si amano cantando sotto le luci di Roma, attraversati da una dolce eccitazione. L’autobus passa accanto a una grande fontana di pietra, l’acqua limpida sembra emanare luce. Tutto intorno, la piazza è popolata di innamorati, famiglie, turisti e cuori solitari. Una bambina prende dalle mani del padre una moneta e la lancia goffamente nella fontana. «Esprimi un desiderio, svelta!» la incita sua madre. La ragazza pensa a quanto deve essere bello vedere un figlio crescere. Un anziano signore esce dal portone spingendo la sua sedie a rotelle. Forse ha una nipote grande come quella bambina. La ragazza prova a immaginarlo adolescente, molti decenni prima, scorrazzare in salopette color castagna tra i vicoli di Roma e poi tornare a casa e mettersi a tavola con la sua famiglia numerosa. La ragazza si rende conto che ora sta osservando il futuro di quell’adolescente. E immagina come saranno tra qualche anno quella bambina, i due ragazzi innamorati, i writers alla fermata, il neonato appisolato sulla spalla della madre e anche l’uomo elegante. «Signorina, si svegli», la voce dell’autista scuote la ragazza. L’autobus è arrivato al capolinea, non c’è più nessuno. Nemmeno la vecchia signora. La ragazza si alza, si mette in spalla la custodia della chitarra e scende. Guarda il cielo senza stelle della città macchiata dei respiri del mondo. Prende aria nei polmoni, la trattiene per un po’, poi la manda giù. Il sapore non è poi così male e respirare non è così faticoso. Non le dispiace più essere fatta di materia, avere una consistenza. Forse stanotte rimanderà il suo volo. Salirà sulla terrazza condominiale e, senza spiegare le ali, si limiterà a osservare dall’alto la città, questo fiore che alle prime luci dell’alba richiuderà la sua corolla, nell’attesa che torni la sera per sbocciare un’altra volta.
