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Fantascienza
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Fascia 16-19
Bæta

Il sole era appena calato.
Si stava trascinando dietro le ultime pennellate rosse, dall’alto calava il blu scuro della notte, in mezzo un pallido giallo sfumava delicatamente il cielo.
Rimasi in silenzio ad ammirare il paesaggio.
Per il tempo della durata di un tramonto dimenticai le isole mangiate dal mare, centinaia di persone che migravano in cerca di salvezza, lo scoppio della guerra in Europa per il gas, le nuove epidemie che si diffondevano a macchia d’olio decimando la popolazione.

L’ultima striscia di luce soffocata fu inghiottita dall’orizzonte e fui risvegliato con uno schiaffo dalla realtà. Aprii il pacchetto di Marlboro rosse, (primo pacchetto di sigarette di tutta la mia vita) e dopo aver accarezzato la cima dei filtri, presi quella che avevo girato al contrario, sfatando l’usanza di fumarla per ultima da buon fumatore inesperto. Erano l’unico conforto che mi allontanava dalla realtà, facendomi girare vorticosamente la testa e rilassando i miei muscoli tesi. Stavo osservando il fumo che si disperdeva nel cielo, quando vidi comparire accanto all’arancione del tabacco bruciato, un altro punto arancione, e poi un altro, e un altro ancora. La sigaretta mi dava alla testa, ma non avevo mai avuto le allucinazioni. La abbassai: il cielo era pieno di fiammelle che illuminarono quella che sarebbe stata l’ultima notte sulla Terra. Inizialmente pensai a degli aerei pronti a sganciare i loro mostri di ferro, poi i puntini si fecero sempre più vicini, fitti come quelli dei dipinti di Seurat e quando toccarono terra bruciarono tutto. Scappare? Ormai non aveva alcun senso, non si può scappare dal cielo. Rimasi a vagheggiare lo spettacolo con la stessa meraviglia di un bambino che guarda i fuochi d’artificio. Per strada, le urla della gente che cercava di mettersi al riparo, arrivavano ovattate alle mie orecchie. Poi sentii un calore insopportabile sulla nuca e iniziai a vedere nero, le grida si allontanarono. Il buio assordante.

Chiudete gli occhi e provate ad immaginare un mondo in cui non c’è la guerra, dove non esiste il bianco o il nero, nessuno si odia. Già qui non riuscite a vedere ad un palmo di distanza? Immaginatevi ora che nessuno voglia prevalere sull’altro, che non esistano il ricco e il povero e neanche la vittima e l’omicida. All’orso polare non si scioglie la terra bianca sotto le zampe, il koala non fugge bruciato dalla sua casa, i pesci non muoiono soffocati dalla plastica.
Allora lasciate che vi racconti, rimarrete stupiti come Nettuno quando vide gli Argonauti cavalcare la superficie del suo regno.

Ero avvolto dal freddo pungente quando ho sentito la terra scivolare lungo tutto il mio corpo, spingermi sempre più in superficie. Sentivo un calore simile a quello che proviamo per le cose familiari. L’ha percepito anche la schiena, che si è mossa piacevolmente al suo tepore. Ho iniziato ad allontanarmi dal buio sempre di più, i miei occhi hanno provato a sfidare il sole come Icaro, fallendo. Pian piano hanno fatto amicizia con la palla di fuoco, la vista era sempre più nitida a ogni battito di ciglia.

Gli alberi alternavano le loro fronde al cielo azzurro, sembravano osservarmi con aria di superiorità.
Ero vivo, o forse era solo la fervida immaginazione della mente che continuava a prendersi gioco di me anche dopo la morte.
Mi sollevai pesantemente da terra e iniziai a camminare stordito verso una direzione. Gli alberi erano addobbati da centinaia di parrocchetti colorati, alcuni dei quali si libravano attorno a me compiendo meravigliose acrobazie. I loro chiacchiericci mi fecero compagnia lungo tutto il cammino. Trovai cespugli colmi di bacche, fragole, lamponi all’apparenza succosissimi, mi avvicinai per prenderne qualcuno e vidi dall’altra parte della barriera una famiglia di cerbiatti. Sollevarono appena il capo per controllare l’identità dell’ospite che si sarebbe unito al loro banchetto per poi tornare a mangiare indisturbati.

Proseguii circondato da macchie di fiori. L’aria era pulita e io cercavo con profondi respiri di catturare la meraviglia intorno.
Camminavo a piedi nudi sulla terra fresca, sentendomi una cosa sola con essa; all’improvviso mi fermai di scatto e sgranai gli occhi: a pochi metri da me, una donna stava piantando un ulivo.
Alzò lo sguardo ma non rimase sorpresa quanto me nel vedermi, tornò subito a fare il suo lavoro.

«Avvicinati straniero» avanzai verso di lei intimidito.
«Come altri sarai confuso, penserai di essere morto, ma ti è stata donata un’altra opportunità da Bæta.»
«Bæta?»
«Questo pianeta è Bæta, una versione migliore di quella che i nostri antenati chiamavano “Terra”» non ribattei, il mio sguardo incalzante invitava la donna a continuare.
«Non ricordiamo il mondo che c’era prima di Bæta, attraverso l’impianto di memoria, però conosciamo tutti i vizi e le abitudini degli antichi: le creazioni, le conoscenze sul campo scientifico e tecnologico. Abbiamo deciso di eliminare tutto l’odio, le sofferenze, le disuguaglianze. Siamo l’immagine migliore di chi c’era prima su questo pianeta, di coloro che si racconta furono puniti dal sole.»
«In che anno siamo?» la donna mi sorrise come quando le madri sorridono alle domande ingenue dei figli.
«Questo è stato uno dei vostri tanti problemi. Avete imposto al mondo determinate regole solo per finalizzare le vostre necessità. Hai mai pensato alla concezione del tempo? Esisteva solo per voi antichi. Tutti gli altri esseri viventi si facevano guidare dal sole, ma voi avete deciso di imporre degli orari, di stare dietro al tempo, probabilmente perché molti di voi avevano il vizio della pigrizia e senza una scadenza avrebbero fatto delle loro vite nulla. E avete iniziato a contare: quanto mancava a questo, quanto ci voleva per arrivare a quello. Ovviamente dando la priorità ai vostri personali interessi. Quando è scattato il conto alla rovescia dell’orologio climatico di New York, cosa avete fatto? Questo per dirti che qui su Bæta non esiste il tempo. Tutti vivono in simbiosi tra di loro e con l’ambiente e si impegnano a collaborare per migliorarlo ogni giorno.»
«Ma indicativamente quanto tempo fa c’è stata la pioggia di fuoco?»
«Sono state registrate cinquemila fioriture degli alberi da dopo la pioggia fino ad oggi.»
La donna iniziò a camminare, poi si voltò verso di me e mi fece cenno di seguirla.

Arrivammo in un laboratorio, lungo la strada vidi centinaia di altre persone. Dopo avermi spiegato velocemente cosa sarebbe successo senza che capissi una parola, mi invitò a chiudere gli occhi e ad indossare un impiantatore di memoria.
Trasumanai.

Non so spiegarvi cosa successe dopo la grande pioggia di fuoco, tutti gli uomini scomparvero: ci fu un grande silenzio di mille anni nel quale venne permesso al pianeta di guarire, alle foreste di ricrescere. Poi Bæta fu pronta ad accogliere i suoi nuovi abitanti: i giovani deceduti nella pioggia di fuoco, non responsabili del male presente sulla Terra, ai quali era stata data un’altra possibilità. Questi uscirono dal terreno come piante: conservavano dentro di loro tutti i ricordi e le scoperte degli antenati. La popolazione si unì e iniziò ad emigrare in tutta la superficie del pianeta. Gli animali non scappavano vedendo quella gente, non avevano più paura perché sapevano che non sarebbero stati mangiati o scuoiati o che il loro habitat non sarebbe stato stravolto.

La collaborazione tra gli abitanti di Bæta permise scoperte incredibili sul campo della scienza e della tecnologia: le risorse a disposizione erano abbondanti, nessuno voleva prevalere sull’altro, le disuguaglianze sociali erano state eliminate. Grazie alla manipolazione genetica vennero trovate le cure per il cancro, la demenza, l’autismo e altre malattie. Vennero aperti dei centri per la ripopolazione degli animali che prima della pioggia di fuoco rischiavano l’estinzione. La collaborazione tra tutti gli individui aveva creato un mondo fatto d’arte e di bellezza. Ogni singolo pezzo di Bæta sembrava un museo: dai giardini, pieni di percorsi di aiuole dai mille colori fino alle case. C’erano case trasparenti, case sull’acqua, case capovolte, a forma di pianoforte e di cestino da pic-nic. Le persone ridevano, festeggiavano, si amavano, festeggiavano ancora, collaboravano, accoglievano. Questo vortice positivo iniziò a farmi vorticare la testa e a colpire come una spada l’odio, la guerra, la morte, che erano rimasti sedimentati nella mia mente.
Mi tolsi l’impiantatore di memoria con foga.

Il nostro egoismo cieco ci aveva portati ad un’autodistruzione dovuta al nostro attaccamento alle cose materiali, al denaro, alla ricerca del piacere personale. Su Bæta non c’era spazio per questi valori inutili, che erano stati sostituiti dalla continua ricerca della felicità, della conoscenza personale, dell’amore incondizionato. Ognuno era libero di amare chi volesse, che fosse dello stesso sesso, che avesse deciso di cambiarlo per un disagio personale, che avesse la pelle nera o bianca.

Fui grato di questa nuova possibilità che mi fu data: io oggi sono un abitante di Bæta.

Pubblicato: 31 Gennaio 2023
Fascia: 16-19
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