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Ascesi

Una ragazza sta leggendo un libro seduta accanto alla finestra. La storia la prende tanto che non riesce a staccare gli occhi dalle pagine. Mentre segue con attenzione la vicenda che assorbe tutta la sua attenzione, sente un improvviso rumore che sale dalla strada. Sarà stato un incidente, si dice. E riprende a leggere. Ma subito dopo ecco un altro colpo. Il vetro della finestra trema. Perfino il libro trema fra le sue mani. Ma lei non vuole a nessun costo staccarsi dalla pagina. Che importa di quello che succede in strada!, si dice. Al terzo colpo però è la casa intera che si scuote e traballa. E lei non può fare a meno di alzarsi e avvicinare la faccia al vetro. Quello che vede le fa cadere il libro dalle mani…

Hai idea di cosa voglia dire vedere la realtà sgretolarsi davanti ai tuoi occhi? Potresti anche solo immaginare il panico, il terrore che ti corre nelle vene, l’incredulità che può creare una visione del genere?

La ragazza sente un altro colpo, questa volta più vicino, ed ora le mura della casa non ci sono più. Tutto si dissolve, perde consistenza. I contorni si fanno sfumati. Non ci sono colori distinti, non c’è il piazzale e le persone che lo affollavano poco fa. Non c’è più nulla, solo un’indistinta mescolanza di tinte sempre più tenui. Le macchie hanno preso il posto delle cose e delle persone e, sempre più rarefatte, si sciolgono e si contraggono, fino ad essere assorbite in un bianco accecante.

Quinto ed ultimo colpo. Da quel giorno, nessuno ebbe più notizie di Emma Gingsgrew.

Da quanto tempo è che non dormo? Giorni? Settimane? E da quanto tempo non mangio? Quand’è stata l’ultima volta che ho bevuto un sorso d’acqua? Come faccio ad essere ancora vivo?

Non lo so, non so più nulla. La consapevolezza di me stesso è andata sempre più scemando da quando è comparso quel libro. A stento mi rendo conto di esistere, e ogni tanto muovo gli arti per ricordare di averli, ma nulla di più. Le pagine mi stanno consumando, una parola dopo l’altra, mi stanno letteralmente facendo a pezzi. Ma devo continuare a leggere, ormai il libro è quasi finito.

Non saprei neanche cosa mi sta accadendo intorno. Ho perso la cognizione del tempo, a malapena so quando tutto questo è cominciato. Sembra un ricordo sfumato, lontano, di una vita fa…

Anche l’immagine di quella ragazza è vaga nella mia mente. Sembrava estraniata dal mondo, spenta e quasi assente. Camminava in strada di fretta, tenendo ben stretta la borsa intorno alla spalla, come se dentro ci fosse qualcosa di inestimabile valore. Muoveva passi svelti e teneva lo sguardo fisso sulle scarpe. Saranno state circa le otto di mattina. Le sono andato a sbattere contro, o forse lei mi è venuta addosso…

Sembrava stanca. Due occhiaie le cadevano languide quasi fino alle narici, formando un grosso alone tetro sotto gli occhi chiari. I capelli erano sporchi, tutti scompigliati, lucidi come l’oro. Il viso pallido era coperto da una pelle liscia e tiratissima.

L’ho vista per un istante, poi è sgattaiolata via, senza lasciarmi neanche il tempo di lamentarmi. Continuavo a guardarla mentre si faceva sempre più piccola, fino a che non ho abbassato lo sguardo e ho visto un piccolo rettangolo scuro sul marciapiede. Chinandomi mi sono accorto che era un libro, ma sembrava emanare uno strano alone di inquietudine. La copertina di pelle nera era percorsa per tutta la sua superficie da un infinito reticolo di venature pulsanti, che riflettevano i colori dell’iride. Lampeggiavano con regolarità, come se in quella strana rete sanguigna passasse davvero del liquido, tanto che il libro sembrava dotato di vita propria. Mi inquietava ma allo stesso tempo mi attraeva. Era dotato di qualcosa, lo sentivo.

L’ho raccolto e sono tornato a casa. Ho cominciato a sfogliarlo, era scritto a mano con una calligrafia piccola ed ordinata, morbida e sinuosa. Inizialmente ho avuto difficoltà a capirla, ma dopo una decina di minuti mi è apparsa come la più chiara che avessi mai visto. La carta ingiallita era sottilissima, così delicata che pareva sgretolarsi sotto i polpastrelli. Non era molto voluminoso, ma data la sottigliezza delle pagine, era molto più lungo di quanto apparisse.

Sulla prima pagina c’era scritto qualcosa, sembrava una dedica: L’ascesi. L’uomo. La mente. Pensi dunque esisti. Sai dunque sei.

Ho cominciato a leggere che era mattina, e quando ho staccato gli occhi dal libro era notte fonda. Ho passato l’intera giornata con lo sguardo fisso su quelle parole scure, celandomi completamente al mondo.

Peggio della droga, più vorace e con un’assuefazione più intensa, mai provata. Non riuscivo a pensare ad altro, era un’ossessione. Quella carta trasudava una conoscenza che andava oltre qualsiasi visione del mondo che io avessi mai sentito o conosciuto. La trama non era particolarmente interessante, raccontava di un bambino, dalla sua formazione nell’utero alla vecchiaia, ma riusciva a trarre considerazioni, a dipingere tante diverse visioni del mondo da far scattare nella mia testa meccanismi che neanche sapevo di possedere. Sembrava di stampo buddista, descriveva l’ascesi, il distacco dalla vita terrena, dai beni materiali, dai sentimenti, fino all’eradicazione più intima della persona: quella del proprio essere.

Nei giorni seguenti non ho mai smesso di leggere e sono ancora qui.

Queste pagine mi stanno cancellando l’anima.

Non ho idea neanche più del mese, forse anche dell’anno, in cui mi trovo. Non noto il cambiamento di luce dalla finestra, né ho idea di come possa essere la mia condizione fisica attuale. Mi sento svanire, nulla di più, eroso dall’accanimento della lettura.

Ed ora sono quasi alla fine. Vedo il mondo con occhi diversi, questa storia mi sta scuotendo nel profondo. Sto cambiando radicalmente, prendo atto dell’impalpabilità effettiva del palpabile, della concretezza dell’astratto, della relatività del mondo.

È un viaggio a senso unico. Una volta che sai, non potrai più tornare indietro.

Dalla finestra sento un colpo, proprio nel momento in cui giro una delle ultime pagine. Che importa, tra poco sarà tutto finito. Un secondo colpo mi fa vibrare il libro fra le mani mentre volto l’ultima pagina, ma non posso staccarmi proprio ora. Quando leggo l’ultima parola del libro, sentendo il terzo colpo, con tutta la casa che si scuote e traballa, dopo tutto questo tempo in cui non ho sentito neanche un rumore, non posso fare a meno di alzarmi e andare a controllare.

Lo spettacolo che mi si presenta mi fa cadere il libro dalle mani… un altro colpo, poi un altro ancora, e il mondo che conosco non esiste più.

Solo un’abbagliante luce bianca che inghiotte tutto.

Di’ pure addio alla vita come la conosci, questa è l’illuminazione.

Quando riprendo conoscenza non c’è più nulla. Solo bianco, bianco e vuoto ovunque. Non ho neanche la sensazione di poggiare i piedi da qualche parte, come se stessi fluttuando. Dopo una buona mezz’ora passata a vagare lì in mezzo, vedo un gruppo di altre persone, in lontananza. Da dove mi trovo le vedo sfocate ma, avvicinandomi, mi accorgo che la loro stessa immagine è sbiadita. Alcuni hanno contorni a malapena definiti, altri non sono altro che sagome, deformazioni dello sfondo.

Uno di loro, dalla figura ancora piuttosto nitida, mi si avvicina lentamente. Mi squadra per qualche istante dai suoi occhialetti tondi, poi mi dice: «Sei nuovo da queste parti?».

Sarà per l’aria spaesata e sconvolta, ma capisce subito la mia situazione, e senza giri di parole, guardandomi quasi attraverso in un punto indefinito della faccia comincia a parlarmi in tono calmo e pacato.

La sua voce è profondissima, ma allo stesso tempo sottile e leggera. Nessun altro fa caso alla nostra conversazione, mentre mi spiega che è stato un ricercatore e che anche lui aveva avuto fra le mani quel libro.

«Non si sa chi sia l’autore, né quando sia stato scritto. Qualcuno dice dal Buddha in persona, qualcun altro che il principe l’abbia solo letto. Altri ancora lo chiamano “Il libro perduto di Schopenhauer” per il suo contenuto, ma una cosa è certa: è stato lui a condurti qui».

Cos’è che ti rende consapevole di vivere in un’epoca e non in un’altra? Cos’è che ti rende realmente partecipe del mondo?

«Esiste un concetto comune a quasi tutte le religioni: quello di “tempo liminale”. Per esempio, per gli asceti è il momento di massima sofferenza, per i cattolici è quello in cui si consacra l’ostia. Il momento è diverso a seconda della confessione religiosa, ma di per sé il concetto è sempre lo stesso. Esso rappresenta un momento fuori dal tempo, in cui questo smette di scorrere. Quando arrivi alla consapevolezza del creato, nella sua totalità, quando comprendi l’essenza di ciò che ti circonda, addentrandoti nella più assoluta relatività, allora arrivi all’illuminazione. A creare la realtà non è la realtà stessa, ma la conoscenza che ne abbiamo; essa non è altro che rappresentazione. Una volta sciolti tutti i legami, una volta sradicati i vincoli e le certezze più solide che possiedi, allora finisci qui».

È questo il mondo, vero?

«Recise le connessioni fra ego e mondo, una volta che la coscienza di te non ha più senso di esistere, anche il corpo si cancella. Ciò che rimane di te non è altro che una proiezione, destinata ad estinguersi nel tempo, come sta accadendo per me, come per altri, che a malapena riesci a vedere, è già accaduto. Non hai bisogno di acqua, cibo o aria.

Qui hai tutto quello di cui realmente necessiti: il nulla, la contemplazione. La “realtà” è solo un punto di vista. Benvenuto, questo è lo squarcio nel velo di Maya.»

Non può essere così. Non posso credere che tutto ciò che esiste è il nulla, una proiezione condivisa dalle menti delle persone. Quel libro mi ha chiuso in un limbo senza via d’uscita, io continuo a pensare e ripensare a tutto quello che mi ha reso uomo. Penso alle persone che ho conosciuto, alla mia casa e a tutte le volte che mi sono guardato allo specchio. Al neo che ho sull’orecchio, al bar dove andavo tutte le mattine, alla barista, alla ragazza.

Cerco di richiamare ogni più piccolo dettaglio. Ricordo i sensi e i piaceri. Nella foga della disperazione piango la mia vita e il mio tempo.

Meglio vivere nella realtà o nell’illusione di viverla?

Questa mattina mi sono alzato presto, credo che andrò a fare colazione fuori. Sono appena le otto, mentre cammino in strada, in prossimità del bar. Una ragazza, con la borsa ben stretta intorno alla spalla, cammina a passo svelto verso la stazione. Guarda per terra, è così persa che neanche si accorge che mi sta per venire addosso. Riesco a schivarla appena.

Chissà dove va così di fretta…

Pubblicato: 1 Giugno 2021
Fascia: 19+
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