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Fantascienza
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Fascia 16-19
Angeli

La parola “utopia” deriva dal greco, u “non” e topos “luogo”, quindi un luogo che non esiste. A scuola ci viene sempre raccontato di essere umani agognati da un immenso desiderio di piacere e successo, ostacolati da un’invidia malsana di gare e scommesse. Come in una voragine buia e deserta loro combattevano contro se stessi, alla ricerca di una sete di pace, senza neanche impegnarsi per raggiungerla. La mamma mi ha sempre detto che noi siamo fortunati, che siamo cresciuti in un mondo migliore, fatto da esseri umani e non da menti bramose di potere. In simbiosi con ciò che c’è intorno a noi, con il mondo imperfetto che, in qualche modo consideriamo irreprensibile perché, chiunque l’abbia creato, sembra il riflesso esemplare di tutte le creature della Terra. Come gli alberi con le radici, piantiamo sogni e desideri, come il mare in tempesta guardiamo il sole senza paura di accecarci. Perché non c’è nulla da temere.

Mi è stato anche raccontato di “disgregazione”, la prima volta che ne ho sentito parlare ho subito pensato fosse uno di quei termini complicati dai mille significati. Poi ho capito: loro non erano come noi. Avevano lo stesso aspetto, gli stessi problemi quotidiani, eppure pensavano che l’unica soluzione fosse annullarsi. E poi c’è una frase, la prima volta che la sentii la appuntai sul diario: «l’umanità è costituita da tanti piccoli frammenti, la forza sta nel metterli insieme senza fare a gara a chi costruisce prima un mosaico. L’importante non è arrivare primi, ma fare un buon lavoro».

Non era ovvio? Non era sempre stato così? All’iniziò l’idea mi turbò, ora ho capito che forse l’invidia di cui tanto parlano male era un qualcosa di disperatamente comune migliaia di anni fa. E la cosa che più mi ha spaventato, è stato sapere che loro erano completamente soli. Per quanto sulla Terra si trovassero miliardi di persone, i loro occhi sembravano così vuoti da spaventare. I loro animi sembravano così destituiti da pensare di essere fatti solo di carne. L’unità era un concetto così lontano che giocavano a farsi la guerra, distrutti da un consumismo raccapricciante che li ha ridotti in bestie feroci. La mia materia preferita è storia. Anche se a volte la storia un po’ mi spaventa. Perché ho paura che tutto ritorni come prima, ho il terrore di ritornare a essere segregati dal mondo intero. L’immensità dei pianeti non mi ha mai spaventato, ma credo che migliaia di anni fa alle persone spaventò parecchio. Quando il mondo sembrava essere distrutto da ogni speranza di sopravvivenza, quando le piante stavano morendo e quando le migliori creature dell’universo si stavano estinguendo, loro hanno deciso di ricominciare. Questo, per me, è l’atto celebre che ci definisce esseri umani e non corpi e menti in subbuglio. Da lì partì tutto, dall’unità.

Sulla Terra erano rimasti solo un miliardo di abitanti, il resto erano morti, uccise da loro stessi per i gas asfissianti che occupavano il 90% dell’aria. L’ossigeno era diventato un privilegio, così come l’acqua. E a creare tutto ciò erano stati proprio loro. Forse per la paura che il mondo li uccidesse per primi, o perché semplicemente spinti a conoscere i propri limiti. La paura li spinse a un risveglio di coscienza, in cui capirono di non essere i capi indiscussi. E così, ora, viviamo in una pace, in una bellezza immane, in una comunità che per la prima volta si può definire tale. «Dimmi Clara» abbasso la mano e faccio un respiro prima di fare la mia domanda. «Maestra, ma se sapevano di farsi male, perché continuavano a farlo?»
«Perché pensavano che il futuro fosse lontano, ma poi è piombato come un fulmine a ciel sereno. Erano menti pericolose gli umani, Clara. Avevano cambiato la bellezza trasformandola in un incubo ad occhi aperti. Si erano uccisi da soli» annuisco, anche se non ho ben capito ciò che ha detto.

Io so solo che ora stiamo meglio di prima, che in un abbraccio non si uniscono solo epidermidi, ma anima e cuore. Gli abbracci sono considerati l’atto d’amore più grande: le arterie sembrano trasportare lo stesso sangue, i cuori sembrano battere per lo stesso corpo. Non ci soffermiamo sul tocco, ci soffermiamo sulle emozioni, sui sentimenti fondamentali per vivere. Quando sono triste mamma mi dice che ho “la malattia del passato”. Secondo lei prima tutti erano tristi perché non si permettevano di provare emozioni, impauriti dal provarne troppe. È per questo che a noi piccoli ci chiamano angeli. Perché prima i bimbi erano diventati un sogno lontano. Tutti gli umani invecchiavano, ma nessun altro arrivava. Un mondo privo di vita, di nascite, di sorrisi felici e bambini vivaci.

Ci hanno sempre detto che la Terra era nata per ospitare creature e l’uomo era nato dopo tutte le altre. Mi sono sempre chiesta il perché: loro, che avevano segnato la fine di un’era, erano nati milioni di anni dopo rispetto a tutto il resto. Forse era quello il punto: non avevano visto nascere le piante, né l’acqua, né i pesci. Per loro era normale, così normale da non apprezzarne nemmeno una piccola parte. Abitudine. Si erano abituati ad una realtà perfetta e pensavano di esserne i padroni, di possederne ogni millimetro, senza capire che anche loro facevano parte della natura stessa. Siamo anime delicate che hanno bisogno di altre anime come noi. Abbiamo l’istinto naturale di provare emozioni, la paura irrefrenabile di tornare uomini. È per questo che i latini usavano due termini: “vir” per indicare l’uomo e “homo” per indicare gli esseri umani. Era quella la differenza: solo gli esseri umani sarebbero riusciti ad aiutarne altri. L’uomo, invece, sarebbe rimasto uomo per sempre, asfissiato da confronti inutili. «Maestra, io voglio essere per sempre così»
«Così come?»
«Un essere umano» la vedo annuire.
«Puoi farlo, basta far parlare il cuore».

questo racconto ha partecipato al concorso Fictionforfuture
Pubblicato: 8 Maggio 2023
Fascia: 16-19
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