«Conoscevo un uomo innamorato. Era il tipico cavaliere dei romanzi cavallereschi, uno di quelli che per l’onore avrebbe sacrificato la vita o, ancora peggio, la propria felicità. Non avrebbe mai potuto sposare la sua amata, perché la donna apparteneva a un rango molto più basso del suo, e andare a nozze con lei avrebbe significato inevitabilmente sprofondare nella vergogna e perdere quello per cui aveva lavorato tutta una vita. Purtroppo però la giovane sarebbe diventata presto la moglie di un altro uomo e il cavaliere non avrebbe mai più incontrato l’amore. Era disperato, e per non sprofondare nel dolore decise di distrarsi partecipando a una fiera di paese. Magari così avrebbe incontrato un’altra donna, pensò. Girò per tutte le baracche e conobbe molte donne, ma ovunque andasse, il volto della sua amata non faceva che tormentarlo. A un certo punto vide un piccolo tavolo di legno poco lontano e una vecchietta che mescolava un mazzo di carte. Alla povera donna non avevano dato neanche uno spicciolo e per questo il cavaliere le si avvicinò dandole tutto quello che gli era rimasto in tasca. L’anziana lo ringraziò infinitamente, gli disse di pescare una carta dal mazzo e il cavaliere così fece. Trovò un pipistrello. La donna lo osservò pensierosa e cominciò a parlare: “Quest’animale abita l’oscurità e ricorda l’oblio, riposa capovolto ed è simbolo di rinascita. Trovare il pipistrello sta a significare che è il tempo di sottrarsi a una situazione, o che addirittura bisogna lasciar andare una parte di se stessi per ritrovare la via”. Così gli disse e ancora ringraziandolo per il bel gesto, lasciò in quel posto un cavaliere interdetto e confuso, con una vita pronta a cambiare.» Anastasia mi guardò con un sorriso sognante e gli occhi luminosi. «Scommetto che il cavaliere decide di mandare a quel paese l’onore e sposa la ragazza di cui è innamorato» le dissi, facendola ridere. Lei fece una scrollata di spalle. «Non tutti i cavalieri scelgono lo stesso destino e non sempre quello che in questa storia sembra finire bene nella realtà è lo stesso», la guardai confuso come ogni volta che se ne usciva con qualcosa di intelligente. «Ma tutte queste cose chi te le racconta Ana?», qualcosa cambiò nel suo sguardo prima cristallino; ora i suoi occhi erano scuri e schiuse le labbra come per dire qualcosa, ma poi sorrise all’improvviso: «Sei il mio pipistrello, Samuel» mi prese la mano per farmi alzare dal mio letto e cominciammo a girare insieme per tutta la stanza.
Avevo solo 13 anni quando mi disse tutto questo e solo ora che ne ho 18 riesco a comprendere la vera storia del cavaliere e del pipistrello. Se fossi stato io il protagonista avrei sposato la mia amata senza guardarmi indietro. Però la mia illusione di un finale positivo era uguale alla certezza di Anastasia del mio errore, e quella che io credevo fosse immaginazione era pura malattia.
Conobbi Anastasia quando avevo solo 11 anni, un’età dove l’ultima cosa che ti viene in mente è che la tua futura ragione di vita possa essere tutto quello che non augureresti neanche al tuo peggior nemico. Ricordo che capitammo nella stessa classe e che casualmente ci sedemmo affianco il primo giorno. A prima impressione non mi sembrò molto carina, con quei capelli scuri e gli occhi color carbone; era anche abbastanza pallida e l’unico accenno di colore sul suo viso era dato dalle labbra rosse e da una spruzzata di lentiggini. Mentirei se non dicessi che ero molto diffidente nel parlarle, considerando che assomigliava a Mercoledì de La famiglia Addams, ma ci pensò lei, con quel sorriso che non avrei mai più dimenticato, a pronunciare un semplice saluto. Capii da subito che era diversa dagli altri ragazzi, perché credevo avesse un’immaginazione fuori dal comune, con tutte le storie che raccontava. Pensavo anche che fosse buffa nei suoi modi di fare, perché prima rideva e poi metteva il broncio, prima saltellava e poi si fermava all’improvviso, fissando un punto a caso. Ricordo che non voleva mai che entrassi nella sua stanza, diceva che era il suo posto segreto, e quando studiavamo insieme, ci sedevamo in giardino oppure, se pioveva, nel gazebo. A me non importava molto, perché adoravo passare i miei pomeriggi con quella ragazza dalle mille personalità e così, quando ero solo un ragazzino, compresi di non poter stare senza di lei, o se vogliamo essere più romantici, di esserne innamorato. Era lo stesso periodo in cui notai che Anastasia non parlava più tanto come prima, che i momenti in cui perdevo il suo sguardo erano aumentati, che faceva molte assenze a scuola e che piangeva. Un giorno la trovai seduta vicino a un albero nel parco di fronte casa sua, con il volto rigato di lacrime. Mi disse che era solo un periodo particolare, perché suo padre non era al massimo delle forze, così cercai di tirarla su di morale e lei mi raccontò di nuovo la storia del cavaliere e del pipistrello.
Ero seduto nel suo giardino e lei era sdraiata con la testa sulle mie gambe, in modo che potessi toccarle i capelli. Teneva un tulipano tra le dita e fissava il rosso dei petali. «Perché questo è l’unico racconto di cui mi parli sempre Ana?», smise di ammirare il fiore e puntò i suoi occhi nei miei. «Perché è l’unico che devi ricordare», si alzò lasciando il tulipano affianco a me e corse di fretta verso casa. Prima di aprire la porta però, mi guardò e mi colse a fissarla. Vidi sul suo viso un misto di rammarico, paura e consapevolezza; ma quando mi sorrise, dimenticai tutto il resto. «Sei il mio pipistrello Samuel, non dimenticarlo mai.»
Sei il mio pipistrello Samuel, non dimenticarlo mai. Io le sorridevo ogni volta che me lo diceva e in quel parco la baciai per la mia prima e ultima volta, perché quelle che vidi nei suoi occhi furono le stesse emozioni di quel giorno in giardino. Scappò via. «Mi dispiace Samuel per essere solo l’illusione della favola» disse, lasciandomi lì seduto e sparendo per giorni, senza neanche darmi il tempo di trovare il modo per rimediare, perché lei non provava lo stesso. All’inizio ero deluso e non la cercai, poi però mi preoccupai così tanto che mi presentai fuori casa sua, per affrontare quell’assurda situazione. Non mi importava nulla se non mi amava, non avrei comunque sopportato di non vederla più. E fu in quel momento, quando i genitori di Anastasia mi aprirono la porta, che la verità mi travolse come un’onda in piena tempesta.
«Non esistono solo il bianco e il nero, Samu, ma anche il grigio, e in ogni favola può esserci una via di mezzo. Non finisce sempre bene o male. L’unica certezza è che finisce in un modo o nell’altro; e non sempre bene.» Mi guardò come solo lei riusciva a fare e decisi di fare il suo gioco. «E se io volessi che finisse solo bene? Cosa mi diresti?» sospirò, e capii che non era una delle sue solite storie ma qualcosa di celato, profondamente nascosto e che non mi avrebbe mai detto, se non costretta. «Ti direi che è solo una mera illusione e che io sono la più illusa di tutti.» Comprendere quello che diceva era sempre complicato, perché lei ti raccontava tutto, ma allo stesso tempo niente che riuscisse a farti entrare nella sua testa e in ogni caso nessuno avrebbe capito che dietro quella maschera da ragazza perfetta e con tutte le possibilità del mondo, ci potesse essere una verità che non avrei voluto neanche immaginare. La guardai confuso e lei pronunciò parole che non avrei mai più dimenticato. «Sei il mio pipistrello, Samuel, e soprattutto la realtà più vera che io abbia mai immaginato.»
Avevo solo 17 anni quando mi dissero che Anastasia era malata. «Lei vede cose che noi non possiamo vedere, sente voci che non possiamo sentire, tocca cose che non possono essere toccate. Non è come te, Samuel, e deve rimanere qui perché potrebbero succedere altri incidenti.» Furono queste le parole pronunciate dai medici, quando mi presentai all’ospedale psichiatrico dove i genitori avevano mandato Anastasia, dopo che lei aveva distrutto la sua camera durante una crisi. Anastasia soffriva di una rara malattia che le faceva vedere il mondo in maniera diversa, cosa che le rendeva difficile vivere in maniera normale. Aveva sempre più spesso crisi che tenevano svegli lei e i suoi genitori durante la notte; si faceva del male e non se ne accorgeva, come se si trovasse in una specie di trance; diceva di sentire voci e urlava di smetterla, finché non ne udiva più nessuna. Lei non era la ragazza piena di immaginazione che io avevo sempre creduto di vedere, ma cercava di esserlo solo quando era insieme a me. «Sai perché ti raccontavo sempre la stessa storia?» mi disse singhiozzando, mentre continuavo a guardare il suo volto bagnato da lacrime amare, scuotendo la testa, incapace di formulare anche solo una parola. «Io sono il cavaliere che ha sempre avuto bisogno di cambiare vita. Ma io non posso, Samuel. La mia malattia me lo impedisce. Solo quando sono con te, non sento le voci e non vedo la paura, solo quando sono con il mio pipistrello, riesco a sposare la mia amata. Ho creduto fino alla fine di riuscire a cambiare, e vedere tutti i giorni il tuo viso mi dava la giusta dose di speranza per non immaginarmi qui, tra le pareti bianche di un ospedale. Ho sempre pensato che se non ti avessi detto nulla di tutto questo, sarei potuta scappare dalla realtà. Ma io avevo già scelto da tempo il mio destino; e senza di te io non andrò a nozze, ma deciderò di volare via. Insieme al mio pipistrello.» E mi sorrise per l’ultima volta, mentre io la guardavo con la consapevolezza che non l’avrei più rivista, e con la certezza di averla amata, nonostante per lei io fossi solo illusione.
Ho imparato che esistono illusioni più grandi di qualsiasi immaginazione, come se avessi la verità davanti agli occhi e mi rifiutassi di vederla. Anastasia mi ha insegnato che nessuno è padrone di se stesso e che spesso ci rifugiamo troppo nella fantasia o, se voglio essere più preciso, nella speranza che quello che vediamo non sia reale. Anche se lei viveva nel suo mondo distorto e in completo contrasto con la realtà, almeno non era convinta che qualunque cosa fosse successa, l’amore sarebbe venuto a bussare alla porta della sua anima per rassicurarla. Anastasia non conosceva l’amore o forse, come dicevano i medici, lei non poteva capire cosa fosse, e nonostante ciò, io non mi sarei mai allontanato da quell’anima completamente distrutta, che ha portato nella mia vita tanta sofferenza quanto felicità. La storia di Anastasia è la prova che la vita può darci una montagna di certezze, ma contemporaneamente un mare di illusioni.

