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Agire

Una ragazza sta leggendo un libro seduta accanto alla finestra. La storia la prende tanto che non riesce a staccare gli occhi dalle pagine. Mentre segue con attenzione la vicenda che assorbe tutta la sua attenzione, sente un improvviso rumore che sale dalla strada. Sarà stato un incidente, si dice. E riprende a leggere. Ma subito dopo riecco un altro colpo. Il vetro della finestra trema. Perfino il libro trema nelle sue mani, ma lei non vuole a nessun costo staccarsi dalla pagina. Che importa di quello che succede in strada!, si dice. Al terzo colpo però è la casa intera che si scuote e traballa. E lei non può fare a meno di alzarsi e avvicinare la faccia al vetro. Quello che vede le fa cadere il libro dalle mani…

Per la prima volta in tutta la sua vita il mondo reale si apre ai suoi occhi, la colpisce come un pugno in faccia e le fa male come il sale su una ferita aperta. Un fischio assordante. Un’esplosione. Poi il nero. La spinge indietro, facendola cadere sulle pagine stropicciate del libro. Ma lei non stacca lo sguardo dalla finestra scheggiata. I suoi occhi riflettono il rosso e il grigio del cielo, che si colora di un tramonto di sangue. Lamenti, grida, urla strazianti le rimbombano nella testa. Il mondo che le si presenta davanti non è come il suo: non vive in una graziosa casetta bianca sulla collina, e dalla finestra della sua camera non vede un lago limpido, né un giardino segreto. Vede solo una città avvolta dalle fiamme e da una nuvola nera incandescente; case e palazzi distrutti.

Esce di corsa di casa. Il fumo dell’esplosione le brucia gli occhi e le restringe la gola. Macchie di sangue punteggiano la strada mischiandosi con la terra ancora umida. Un altro attentato. Altri morti. Dal 2011 la guerra si è portata via più di 17000 innocenti vittime tra cui suo padre e suo fratello maggiore, lasciando così lei e sua madre Farah a dover badare a suo fratellino Jaber e alla piccola nuova arrivata Jamila. Da quel momento la vita si è fatta sempre più dura: le possibilità di lavoro sono quasi inesistenti. Inoltre anche il cibo scarseggia, ed è diventato più pericoloso girare per le strade di Damasco. Molto spesso sono state costrette a vendere alcune delle cose di famiglia per racimolare qualche spicciolo con cui comperare del pane che doveva bastare per un’intera settimana; altre volte erano costrette a digiunare.

Basta. Questa parola rimbomba nella testa di Faiza. È arrivato il momento di agire. La visione di tutti quei corpi lacerati che giacciono per terra cosparsi di macerie è come una lama conficcata nel petto, il solo pensiero che probabilmente un giorno quest’atrocità potrebbe portare via anche la sua famiglia le strazia il cuore. Il suo fragile mondo fatto di pagine di libri e di belle parole si è dissolto in un attimo come cenere, le mura che fino a questo momento l’hanno protetta e isolata dalla realtà sono andate in frantumi. Il sottile velo dell’illusione si è rotto e davanti a lei adesso si apre un mondo violento dal quale è sempre voluta sfuggire. L’unica cosa che le è rimasta è il sogno, la speranza e la volontà di cambiare. Non è più tempo di essere l’eroina di un romanzo, ma la protagonista della sua vita.

Per anni si è chiusa in sé stessa con i libri che suo padre gli portava ogni domenica dalla fiera della città, cercando di evadere dalla realtà e creando mondi paralleli dove trovava la felicità. Ma ormai è arrivato il momento di cambiare. Deve prendere in mano la propria vita e garantirne a sé stessa e alla sua famiglia una migliore che meritano.

Rientra di fretta nel corridoio che porta alla cucina, dove tutti sono nascosti sotto a tavolo da pranzo. Il terrore domina nei loro occhi, e questo la convince sempre di più che bisogna prendere una decisione. E in fretta.

«Dobbiamo scappare» afferma la ragazza, cercando di avere un tono più convincente possibile. «Prima o poi ammazzeranno anche a noi». C’è un tono di disperazione nella sua voce. Invece il terrore si tramuta in sconcerto negli occhi degli altri. Faiza non aveva mai parlato con questo tono né di un simile argomento prima d’ora. Tutti pensano stia scherzando. Ma lei inarca le folte sopracciglia e corruccia la fronte, il suo volto si incupisce sempre di più: «Mi avete sentito? Dobbiamo andare via di qui subito! Se non vogliamo morire di fame è l’unica speranza che abbiamo per ottenere una vita più dignitosa». Adesso la rabbia domina la sua voce.

La madre si alza e le prende la testa tra le mani, stampandole un bacio sulla fronte. «Lo so tesoro, lo so. Ma non possiamo permettercelo, e poi dove andremmo? Siamo tre donne e due bambini, moriremmo durante il viaggio. L’unica cosa da fare è aspettare che quest’inferno passi».

L’ira prende il sopravvento. Si stacca bruscamente dall’abbraccio della madre e, furiosa, grida: «Ma non ti rendi conto? Facendo così condanni a morte non solo te stessa ma anche i tuoi figli! Vuoi vedere morire davanti ai tuoi occhi tutti noi? non vedi che…». Un fischio. Un’esplosione.

Questa volta vicinissima, li scaraventa contro la parete della cucina. Pezzi di intonaco cadono sulle loro teste. Subito Faiza corre verso il balcone per vedere cosa era successo. Il vetro della finestra è andato in mille pezzi. Fiamme si stagliano tra il fumo; i lampioni per strada sono crollati. Un’immagine sconvolgente è davanti ai loro occhi: il palazzo di fronte è stato completamente sventrato dall’esplosione. Gente da ogni parte accorre per cercare di salvare i sopravvissuti. Le donne si guardano sconcertate, e Faiza ha la sgradevole conferma che scappare è la cosa giusta da fare se non vogliono finire sotto le macerie della propria casa. Basta uno sguardo per capire che ormai la decisione è presa.

Faiza non riesce a dormire. Si gira nel letto sotto la finestra, da cui arriva uno spiffero di aria gelida. Un pensiero fisso l’assilla: dove andranno? E cosa più importante, come faranno ad arrivare vive? Prende un piccolo atlante che le aveva regalato il padre da sotto il letto, e accende la lampada sul comodino. Qualche giorno fa le sembra di aver sentito in tv che molti siriani si imbarcavano per l’Italia, dove riuscivano ad entrare facilmente. Quella può essere un’opzione, pensa. Anzi, è forse la meta più concreta. Devono prendere una corriera fino a Beirut, in Libano, per poi imbarcarsi su un traghetto fino in Grecia e poi alla volta di Lampedusa. Sarà un viaggio stremante, ci impiegheremo tanto tempo, ma appena imbarcati il gioco è fatto. Rassicurata, Faiza si addormenta, fantasticando sulla sua futura nuova vita in Italia, sul suo futuro.

La corriera è affollata di gente di ogni età: donne, bambini, anziani e mariti. Faiza siede vicino al finestrino, vicino alla mamma e alla sorellina Jamila e Jaber. È una bella giornata, il sole risplende alto nel cielo sopra Damasco. Dal finestrino la ragazza può osservare le persone affrettarsi da ogni parte, cariche di bagagli e di vivande, pronte a partire. Loro però non hanno molto. La maggior parte dei loro averi li hanno venduti per ricavare il denaro con cui pagheranno il viaggio. Portano con loro solo l’atlante, un po’ di cibo e un abito di ricambio ciascuno. Eccitazione e angoscia dominano i loro animi, si lanciano sguardi di intesa come per dire “qualunque cosa accada, io ci sarò”. L’autista mette in moto e partono. Alle spalle si lasciano Damasco, la città della loro infanzia, dove sono nati e cresciuti. Il suo caratteristico mercato coperto, i negozi della città vecchia brulicanti di persone, i polverosi palazzi forati dalle pallottole e logorati dalla guerra e dall’odio, sono tutti ricordi che resteranno sempre impressi nei loro cuori e nelle loro menti come macchie indelebili. Chissà, forse un giorno ci ritorneremo. La guerra sarà finita e la città ritornerà al suo antico splendore. La sua fantasia la porta in una Damasco gioiosa e colorata, piena di persone che comprano il tipico qatayef. Quel suo profumo inebriante le scalda il cuore, ancora riesce a sentire il suo sapore dolce, la frutta secca che si mescola alla sofficità della pasta. Ma un sussulto la risveglia. Cade in avanti e un grido grave la scosse.

«Siamo arrivate al porto di Beirut» sussurra la madre.

Faiza si avvicina al finestrino. Un’immensa distesa blu si apre ai suoi occhi. Non ha mai visto il mare, ma non era così bello. L’acqua riflette il tramonto rendendola come un manto dorato luccicante. Si devono affrettare. Il sole sta calando e rischiano di perdere la nave. La loro imbarcazione è un vecchio peschereccio grigio, dove una moltitudine di persone spinge per salire a bordo. Salgono tenendosi per mano, come un condannato a morte pronto a morire. La stiva è angusta e sudicia, e un forte tanfo di pesce penetra nelle loro narici. È ghermita di gente accalcata. Trovano posto in un angolino verso la prua. Si siedono stremate, e la barca lascia il porto.

Passano i giorni, le settimane, Faiza non riesce a tenere il conto. Vuole solo uscire da quella stiva, respirare aria fresca, sentire il vento. Non mangia da giorni e l’umidità le penetra nelle ossa distruggendola. Si chiede se sarebbe stato meglio restare a Damasco, aspettare una tregua, la fine della rivolta. Si incolpa di aver trascinato la sua famiglia in questo incubo. Forse i suoi sogni sono in realtà solo capricci egoisti, e lei si sta trasformando nell’antagonista della sua vita. Tutto a un tratto delle grida provenienti dalla prua del peschereccio rimbombano nella stiva.

«Terra! Terra!» gridano. Un sorriso si dipinge sulle bocche di tutti, illuminando la stanza. Un tumulto, il peschereccio si ferma. Le porte della stiva vengono aperte, lasciando entrare una luce accecante. Faiza si alza di scatto correndo verso l’uscita. Un odore fresco di salsedine la inebria, un venticello le accarezza il viso, le penetra dentro e le fa scorrere un piacevole brivido lungo la schiena. Chiude gli occhi abbandonandosi alla brezza marina. Faiza ce l’ha fatta. Assapora il gusto dolce della vittoria, della libertà. Libertà. Quella parola le grida nella mente, un grido di gioia, di speranza. Davanti a lei adesso non c’è più morte o distruzione, quel fuoco di rabbia e odio che spinge uomini a massacrare altri uomini. C’è il giallo brillante del dente di leone che fiorisce a primavera sulle colline dietro la città e che significa vita e speranza. Adesso ha una nuova vita di fronte, per quanto dura e faticosa potrà essere. Come pagina bianca di un libro: solo lei può scrivere la storia, e solo lei ne sarà l’eroina.

Pubblicato: 1 Giugno 2021
Fascia: 19+
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