«Correva l’anno 2016 e una dolce bimba stava per andare in scena per la prima volta nella sua vita.
Il sipario si apre, le luci sono spente, sul palco gli attori sono vestiti di nero e si confondono con il retroscena, una luce si accende e illumina il volto di Benedetta una vispa e intrigante bambina.
Era emozionata? Era felice? Stava per mostrarsi a tutti senza alcun tipo di timidezza e senza temere ostacoli. Lei questo ancora non lo sapeva perché era la prima volta che calcava le scene e non immaginava cosa il pubblico si aspettasse da lei e dai suoi compagni di avventura. A conoscere le reali potenzialità di quel gruppo così eterogeneo di ragazzini era Emanuela, ragazza giovane e piena di creatività che aveva avuto cura di loro per un intero anno di corso.
Dopo mesi di giochi e di risate ecco il risultato finale, ognuno di loro singolarmente aveva avuto la possibilità di tirar fuori un lato non conosciuto, di mettersi in gioco e di ironizzare su ogni cosa analizzando pregi e difetti di ognuno. Era il lavoro teatrale che Emanuela aveva messo in scena con loro e per loro.»
È un tranquillo pomeriggio d’estate e zia Benedetta racconta ai suoi tre nipotini delle sue prime tenere avventure teatrali e di come sia nata la sua passione per il teatro.
«Quello che Emanuela voleva da tutti noi» racconta zia Benedetta ai suoi nipotini «e per il quale aveva lavorato per mesi stava per andare in scena in quel momento!
Timore e timidezza erano stati spazzati via, il palco attendeva solo i piccoli attori.
Quel palco dove ognuno aveva la possibilità di essere se stesso, il luogo dove potersi raccontare e confidare senza temere giudizi e valutazioni, stava per accogliere il prodotto finale di tanti mesi di lavoro. Ognuno restituiva al pubblico quello che aveva assimilato ed elaborato mentre cuciva un rapporto di amicizia con il palcoscenico» continua la zia.
«Emanuela, che odiava essere chiamata maestra, insegnava a piccole dosi come essere se stessi, come non temere di raccontarsi e di farsi vedere per ciò che ognuno di noi è veramente. Insegnamenti fondamentali di vita, spunti di riflessione per ognuno di noi che cresceva all’ombra del sipario.
Ricordo come se fosse ieri, ogni sabato mattina, le porte del teatro si aprivano solo per noi, eravamo i benvenuti, tutti ci adoravano e avevano cura di noi piccoli attori in erba. Ah, se solo potessi portarvi indietro nel tempo per visitare quel luogo fantastico, ritrovo senza tempo in cui non era mai abbastanza soggiornare e farvi provare le sensazioni che ho provato nel correre lungo il palcoscenico, nel sentire il rumore dei passi sul parquet…»Boom!
Un forte rumore interrompe la narrazione della zia e i bambini spaventati ma anche incuriositi si dirigono verso la cucina da dove proveniva il rumore.
«Cos’è successo zia?» domanda Trisha.
Nel bel mezzo della stanza c’è un aggeggino colorato. Cosa sarà mai?
«Perdindirindina!» esclama un paffuto esserino «Come aggiusterò la mia macchina del tempo?»
Trisha, Leonardo, Melody e la zia rimangono impietriti ma senza esitare chiedono a quella creaturina come poterla aiutare.
«Io sono Willy e vengo da un’altra galassia, esattamente… – prende una calcolatrice – a 2.537.000 anni luce da qui!»
Willy è alto e magro, dall’aspetto molliccio e di colore verde, ha piccole orecchie a sventola, occhioni azzurri e capelli strampalati, indossa una camicia bianca e pantaloni a strisce bianche e blu e porta degli occhialoni da pilota sulla fronte.
«Deve aver fatto tanta strada!» aggiunge Melody.
«Ma questa è la distanza tra la Terra e la galassia di Andromeda!» afferma Leonardo.
«Proprio così» sorride Willy.
«È inverosimile che tu venga da un’altra galassia e parli la nostra stessa lingua! Pizzicatemi, sto sognando!» esclama la zia.
Benedetta, da giovane attrice provetta è diventata un’astrofisica, e per lei questa scoperta è mitica!
«Ma… se questa è davvero una macchina del tempo, come può averti trasportato nello spazio dalla tua galassia alla nostra? E come saresti riuscito ad arrivare sulla Terra?» ragiona Benedetta incuriosita.
«È una lunga storia, potreste aiutarmi a riparare la macchina del tempo per favore?»
I quattro terrestri annuiscono e con spirito di iniziativa cercano tutto quello di cui Willy ha bisogno per far ripartire la sua navicella. Mentre stanno lavorando alla riparazione del velivolo a Trisha viene in mente che Willy potrebbe condurli in qualunque luogo e in qualunque momento consentendoli di vedere nel passato o nel futuro.
«Sarebbe possibile fare un bel viaggetto nel 2016?» chiede Trisha a Willy che acconsente con piacere.
Willy renderà possibile il viaggio nel tempo e i ragazzini potranno assistere allo spettacolo teatrale di zia Benedetta!
«Io vivo nel 3050, epoca in cui nell’universo regna la pace, motivo per il quale agli alieni è stato concesso di rimanere sulla Terra.»
Le domande dei bambini e di Benedetta si susseguono incalzando Willy, le curiosità sul futuro e su ciò che sarà sono tante.
«È stata già effettuata la clonazione dell’uomo?» domanda Trisha all’alieno che annuisce dicendo di non voler spoilerare nulla e propone un viaggio nella sua astronave nel 3050 per vedere come sarà.
«Willy per noi è tutto così strano. Quando si viaggia nel tempo si è visibili ai contemporanei dell’epoca o no?»
«Ottima domanda Melody – risponde l’esserino –, quando si viaggia nel tempo si è invisibili.»
Improvvisamente, mentre Willy stava parlando, lui e la sua macchina del tempo scompaiono. «Funziona!» esclama una vocina.
Finalmente Benedetta e i suoi nipoti possono viaggiare nel tempo all’interno della macchina invisibile di Willy.
«Come promesso, si va nel 2016!» esclama Willy. «Davvero?» la zia è contentissima, non riesce a crederci fino a quando non rivede le porte del suo amato teatro e dei bimbi sul palco.
Tra di loro vi è una graziosa bambina che andava per la prima volta in scena: era emozionata, era felice, era sicura che stava per mostrare a tutti qualcosa di speciale.
Dietro le quinte c’era lei, la giovane Emanuela, attrice talentuosa e pedagogista dalle grandi capacità empatiche.
Era tornata lì, Benedetta, con le lacrime agli occhi, non ci credeva.
Increduli e spaesati assistono al primo spettacolo teatrale di Benedetta, astrofisica di talento, attrice per passione e zia innamorata dei suoi nipotini.
Le scene si susseguono una dopo l’altra e lei è lì, incredula spettatrice di ciò che è stata da piccola. È frastornata dalle emozioni, pietrificata da ciò che i suoi occhi vedono e disorientata dal rivedere il suo passato da un’altra prospettiva.
Finito lo spettacolo si dirige da sola dietro le quinte, vede la vecchia sé emozionata più che mai e sente la commozione crescere sempre più in cuor suo. Capisce e ricorda da dove tutto ha avuto inizio e come quelle sensazioni provate sul palcoscenico l’abbiano accompagnata lungo tutta la sua vita insegnandole a essere sempre se stessa e a non avere mai timore di esporre le proprie emozioni e le proprie idee.
Benedetta rivede i suoi genitori, gli zii, i nonni e gli amici che orgogliosi della sua performance la abbracciano e si complimentano e ricorda quanto sia stato importante per lei sentire sempre l’affetto e il sostegno dei suoi cari in molte, moltissime occasioni della sua vita. Motivo per il quale lei oggi sostiene sempre le iniziative, anche quelle più buffe e improbabili, dei suoi tre nipotini.
Zia Benedetta torna nella navicella temporale di Willy con i suoi tre nipoti che l’aspettano felici di aver partecipato e di aver vissuto la prima avventura teatrale di Benedetta.
Tornati nel 2050, a casa della zia arriva papà Giulio, ma prima di mandare via i nipotini Benedetta chiede loro di mantenere la loro grandiosa avventura segreta. Nel salutarli raccomanda a ognuno di loro di non smettere mai di sognare e di essere sempre se stessi senza nessun timore.