«Amarlo è la mia condanna», 00.28, 7 Agosto. Non riesco ad addormentarmi. Continuo a rigirarmi nel letto, concentrandomi solo sul nodo in gola che non mi permette di respirare. Non voglio chiudere gli occhi perché sento che potrebbe accadere qualcosa da un momento all’altro, ho paura di venire colta di sorpresa. La notte infestata di pensieri viene disturbata da una luce artificiale. Volgo lo sguardo verso la mia destra e vedo uno schermo illuminarsi ripetutamente, che si trasforma presto in una squillante suoneria. Rispondo senza esitazioni non appena vedo il nome del mittente, come se mi stessi preparando per quella telefonata da tutta la sera. Anch’essa sembra scritta su un copione: è breve, piena di convenevoli e come ultima battuta la frase di sempre: «Posso passare da te?». L’amicizia fra me e Elisa è sempre stata così. Lei è l’amica che citavo nei temi d’italiano, la prima alla quale volevo fare un bel regalo di Natale, a cui ho raccontato tutte le mie prime volte e che voglio sappia di tutte le mie ultime. Mi ha insegnato che cos’è l’amore, nel senso più puro del termine e ogni volta che aveva bisogno di me, mi chiedeva se potesse passare a casa mia. Anni dopo, è cambiata la casa, siamo cambiate noi, ma questo no. La nostalgia è il mio antidoto, il suo effetto oppiaceo mi rilassa i muscoli e mi permette di tornare a respirare. I disperati colpi sulla porta di casa mi distraggono dal flusso di pensieri che per un solo momento ho pensato di condividere con Elisa per poi chiederle di andare in overdose di ricordi. Poi apro la porta, la maniglia è gelida. Di fronte a me vedo un’immagine diversa da quella premeditata, quella già vista. Io so perché lei è qui: Federico. Di solito apro la porta e vedo i suoi occhi fiammanti di rabbia, oppure rivedo la bambina spaventata di anni fa, alla quale bastava un bacio sulla fronte per tranquillizzarsi. Questa volta no. Oggi non riesco a vedere nulla. Che cosa le hai fatto? Le prendo la mano e la accompagno verso il divano, sistemo i cuscini e la faccio accomodare. Vorrei abbracciarla forte, offrirle una birra fredda e lasciarla parlare evitando di interromperla come faccio di solito, mio brutto vizio. Ma non mi muovo, come se ogni movimento spezzasse un precario equilibrio. Allora abbasso lo sguardo e noto le sue mani imperlate di sudore avvinghiate al tessuto di un cuscino blu, come se preferisse aggrapparsi anziché rischiare di cadere e lasciarsi ferire dal mio giudizio. Respiro, decido di dire le poche parole che ho sulla punta della lingua, conto fino a tre ma non faccio in tempo: inizia prima lei. Non ha litigato con Federico. Sospiro di sollievo. Ora è come i suoi occhi assenti avessero meno valore. Provo a concentrarmi su ciò che mi dice ma fatico. Il poco che capisco mi fa sussultare. Provo a ricostruire il discorso. «Stavo per addormentarmi, quando Federico è entrato in camera da letto fissandomi con disprezzo. Aveva il telefono in mano, ha avvicinato lo schermo ai miei occhi e ho visto una fotografia di Carlotta, la sua ex fidanzata, che con Simba dipinto sul pancione annunciava la sua prima gravidanza. “Se solo non fossi una ragazzina a quest’ora avremmo un figlio anche noi. Vorrei avessi il coraggio di Carlotta” mi ha detto mentre usciva dalla stanza, lasciandomi il telefono nelle mani come se osservare la foto dovesse essere la mia tortura. Quando l’ho conosciuto non smetteva di criticare Carlotta e le sue azioni. Sono sempre stata arrabbiata con lei per averlo fatto soffrire e mi sono sempre ripromessa di non fare lo stesso. Ora è tutto diverso. Da qualche mese non fa che criticare me, come se preferisse che al posto mio ci fosse lei. Magari è ancora innamorato di lei. Se lo fosse sarebbe tutto più facile. Con un tale peso sullo stomaco ho tentato di addormentarmi, ma se sono qui significa che non ci sono riuscita.» Elisa non ha mai menzionato Carlotta. Forse si vergognava della sua gelosia insensata. Federico la ama tantissimo, sono sicura sia tutto solo nella sua testa. Elisa è sempre stata una ragazza che conservava i suoi pensieri più oscuri solo per sé avendo paura fossero troppo insignificanti per essere ascoltati da altri, persino da me. Il suo cuore è sempre stato tormentato e nessuno se ne è mai accorto. Magari anche adesso è lei che tenta di rovinare tutto per paura di non essere all’altezza di una relazione che sta iniziando a essere troppo impegnativa. «Perché scappi? Ti stai arrendendo e non è sano» le dico e mi accorgo dopo poco di aver commesso un grave errore. Vedo il suo petto alzarsi e abbassarsi freneticamente, il suo naso arricciarsi e gli occhi diventare lucidi. Le prendo le mani e mi scuso. Le chiedo di raccontarmi cosa la fa stare male promettendole di non giudicare. «La scorsa settimana gli chiesi di accompagnarmi ad acquistare un vestito per il matrimonio di Irene. Nella vetrina di un negozio intravidi un vestito rosa antico con le maniche di pizzo e la gonna lunga plissettata. Entrai, lo indossai e mi fece sentire bella come non accadeva da tempo. Chiamai Federico, ma quando si voltò notai la sua espressione delusa in contrasto con la mia euforia. Mi disse che era troppo fasciante ed io troppo grassa per indossarlo al matrimonio di sua sorella, lo avrei fatto sentire in imbarazzo. Mi richiusi nel camerino e iniziai a lacrimare, poi mi guardai allo specchio e trattenni il fiato, per vedere se con un addome piatto il vestito mi sarebbe stato meglio. Allora uscii dal negozio a mani vuote ma colma di pesanti insicurezze. Federico l’ho perdonato subito, in fondo io gli avevo confessato di voler dimagrire e lui voleva solo spronarmi.» Il mio sguardo distratto fino ad ora non era mai riuscito a notare quanto le sue braccia fossero esili e l’incarnato spento. Per tentare di soccombere al senso di colpa racconto a me stessa che lei sia così gracile per la stanchezza e non per il fatto che probabilmente, ha smesso di mangiare. Lui la sta lentamente uccidendo, la sta privando della felicità e io me ne sto accorgendo solo dopo averla accusata di non avere coraggio. Ora capisco perché in tutti questi anni non mi hai mai raccontato nulla. Nella mia mente iniziano a risuonare due parole che oggigiorno sento spesso in televisione, in radio, per le strade: amore tossico. Ho sempre creduto fosse una nociva esasperazione della realtà, che fosse quasi diventata una tendenza camuffare da comportamento tossico un banale errore. E se l’amore che Elisa vive fosse un amore tossico? Deve liberarsene il prima possibile. Perché non l’ha già fatto? Quanto può essere difficile per una ragazza che ha sempre amato la sua libertà, scegliere di essere felice? Lei continua a raccontare e io riesco solo a pensare al fatto che sia colpa sua. Preferisce piangere per intere notti e baciarlo con foga la mattina successiva per dimenticare il dolore che le causa. Poi ricordo ciò che mi disse anni fa, quando si sono conosciuti. Mi confessò che Federico nella sua vita aveva dovuto affrontare tanti no e rifiuti in famiglia, a scuola, sul lavoro e in amore. Con Elisa ricominciò a credere nel lieto fine e questo la lusingava, la faceva sentire indispensabile. E se stesse cercando di proteggere quel finale felice a costo di distruggere tutto il resto? Sono una persona impetuosa, istintiva, quindi senza battere ciglio le dico: «Non aggrapparti a una zavorra che ti porta giù. Torna a respirare da sola». Inizia ad ansimare, singhiozzare e infine si abbandona tra le mie braccia. Inizio anche io a piangere. Sentire il suo cuore che trema contro il mio petto mi rivela ciò che non aveva capito prima: Elisa ha paura di ammettere che ha fallito con lui, o meglio che lui ha fallito con lei. Ha paura di rinunciare a un amore che le ha portato tanta gioia in passato, ha paura di non trovare mai più qualcuno che la protegga come ha sempre fatto lui. Vorrei chiederle se lo ama ma rimango in silenzio; mi terrorizzerebbero tutte le possibili risposte. Elisa si alza e mi chiede di restare a dormire sul mio divano per questa notte. Le dico immediatamente di sì perché voglio avere il tempo di pensare al da farsi da sola, cercando di rimanere lucida. L’unica cosa che mi viene in mente è farla rimanere qui con me per un po’, lasciarla prendere aria. Ma realizzo immediatamente che Federico la tormenterebbe, la chiamerebbe infine volte come fa quando lei raramente esce con amici che siano solo suoi. Inoltre lui sa dove vivo, ha il mio numero di telefono. Torturerebbe anche me e io ho paura, non ho idea di come potrebbe reagire di fronte alla sua scomparsa da casa. Sono terrorizzata per lei e per me. E se la soluzione fosse vederla il più possibile per farle comprendere quale sia la scelta giusta? Tento di trovare un via di uscita, di rischiarare la strada, ma non vedo altro che il buio della notte nel quale mi addormento all’improvviso. Mi sveglio presto la mattina successiva, sento odore di caffè e sul mio viso si dipinge un sorriso sincero come quello che vorrei vedere sul volto di Elisa, ma quando corro verso la cucina a piedi scalzi lasciandomi svegliare dal freddo pavimento, lei non c’è. Il sorriso non svanisce, ma viene sommato all’angoscia per il futuro sconosciuto che questa volta fa più paura del solito.
Oggi è il 6 Agosto. Sono passate due settimane dall’ultima volta che l’ho vista e domani è il suo compleanno. Ho deciso che proverò a convincerla a uscire con me, magari anche solo per fare colazione nel bar di sempre, un posto sicuro dove non ci serve nulla oltre noi e un buon ginseng. Arrivata l’ora, le auguro buon compleanno. Lei risponde quasi subito con un messaggio commovente, quasi fosse un messaggio di addio. Mi stranisco, le chiedo di rispondere alla mia richiesta. Lei mi dice no, Federico le ha chiesto di stare solo con lei tutto il giorno. La odio. Odio lei, lui, me. Sebbene mi tremino le mani le dico: «Lo capisci che vivere così è una condanna?». Leggo «sta scrivendo…» e quell’attimo sembra infinito come la sensazione mangia-stomaco prima di dover dire una cruda verità. Infine leggo quello che so essere il suo ultimo messaggio con gli occhi spalancati: «Amarlo è la mia condanna», 00.28, 7 Agosto.